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martedì 25 settembre 2012

Il paese dei ciechi

(tratto da Il Paese dei ciechi di Herbert George Wells, del 1904).

La voce di un vecchio cominciò a interrogarlo, e Nunez fu costretto a cercar di spiegare il vasto mondo dal quale era piombato giù, il cielo, i monti, la vista e simili prodigi, a quegli anziani che sedevano immersi nelle tenebre, nel paese dei ciechi. Ma non capivano, non credevano a quello che diceva; e questo non se l'era davvero aspettato. Non riuscivano a capire molte sue parole. Erano ciechi da quattordici generazioni, completamente segregati dal mondo dotato di vista, e il nome di ogni cosa attinente al senso ottico si era cancellato o trasformato, la storia del mondo esterno si era cancellata, trasformata in una fiaba, ed essi avevano perso ogni interesse per tutto ciò che stava di là dei pendii rocciosi, incombenti sul loro muro di cinta.  
 
Erano sorti, tra loro, ciechi geniali, che avevano messo in discussione gli ultimi brandelli delle credenze e delle tradizioni di un tempo in cui possedevano ancora la vista, negandole come vane bubbole e sostituendole con altre e più assennate spiegazioni. Buona parte della loro immaginazione si era disseccata come i loro occhi, ed essi si erano procurati altre immaginazioni in base alla sensibilità sempre maggiore delle loro orecchie e dei loro polpastrelli. Pian piano, Nunez finì con il rendersene conto.  
 
Capì che, contrariamente alle sue speranze, non avrebbe ottenuto stupore e reverenza per la sua origine e le sue facoltà; e dopo che costoro ebbero mostrato di non tenere in nessuna considerazione i suoi miseri sforzi di spiegar loro la vista, considerandoli balbettamenti di un essere appena formato che descriveva come portenti le sue sensazioni slegate, egli si rassegnò, un poco mortificato, ad ascoltare le loro istruzioni. 
 
Il più anziano dei ciechi gli spiegò la vita, la filosofia, la religione; gli disse che il mondo (cioè la loro valle) era stato dapprima un buco vuoto tra le rocce, e poi erano venute cose senz'anima e senza il dono del tatto, poi i lama e alcune altre creature di scarso intelletto, poi ancora gli uomini, e infine gli angeli, che si udivano cantare e far rumori che battevano dolcemente l'aria, ma che non si riuscivano mai a toccare. Ciò lasciò Nunez molto perplesso, finché non pensò agli uccelli. L'anziano disse ancora a Nunez che il tempo era stato diviso in caldo e freddo, cioè l'equivalente del giorno e della notte, per i ciechi; che durante il caldo era bene dormire e durante il freddo lavorare, cosicché in quel momento, se non fosse arrivato lui, tutta la città dei ciechi sarebbe stata immersa nel sonno. Asserì che Nunez doveva essere stato creato apposta per imparare e per servire la saggezza ch'essi avevano conquistato, e che nonostante la sua incoerenza mentale e il suo incespicare doveva farsi coraggio e far del suo meglio per imparare: a queste parole, un mormorio d'incoraggiamento corse tra la gente accalcata sulla soglia. L'anziano allora disse che la notte (poiché i ciechi chiamavano notte il giorno) era già molto inoltrata. Conveniva dunque che tutti tornassero a dormire. Chiese a Nunez se sapeva come si fa a dormire, e Nunez rispose di sì, ma che prima aveva bisogno di mangiare. Gli portarono da mangiare (latte di lama in una ciotola, e pan nero salato), e lo condussero in un luogo appartato a mangiar fuori di portata del loro udito, poi a dormire fino all'ora in cui il freddo, con il calare della sera sui monti, li avrebbe fatti alzare per riprendere la loro giornata. 
 
Ma Nunez non dormì né punto né poco.

Rimase invece, là dove lo avevano lasciato, a riposarsi le membra in posizione seduta, pensando e ripensando alle circostanze inattese che avevano accolto il suo arrivo.
 
Ogni tanto gli veniva da ridere, divertito oppure indignato. 
 
 

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