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venerdì 26 aprile 2013

La favola del fluoro buono

In questo esteso articolo tratto dal post del Dr. M. Pedone, si affronta l’incredibile vicenda del fluoro presente nei nostri dentifrici industriali e nelle acque ‘potabili’ di molti paesi del pianeta. Le ragioni di questa fluorazione imposta dalla propaganda e dalle autorità sono da ricercarsi in questo breve resoconto storico. 
Dal sito amicodentista, preleviamo intanto questo lapidario commento:

La nostra opinione è che, nonostante venga utilizzato dal 1945, non è affatto documentato che il fluoro faccia bene ai denti. Ammesso che serva a qualcosa, è dimostrato come il fluoro sia potenzialmente tossico a dosi che sono molto vicine a quelle in cui si ritiene che faccia bene. Non è possibile determinare quanto fluoro si assume dall'ambiente (acqua, alimenti, aria, ecc.), non è pertanto possibile sapere se si sta assumendo una dose terapeutica od una tossica. Vi sono fondati sospetti che vi sia una vasta serie di gravi malattie, incluso tumori, riferibili ad intossicazione da fluoro. Non è pertanto opportuna, a nessuna età, l'assunzione di fluoro medicale attraverso gocce o compresse. I bambini, fino alla pubertà, non debbono utilizzare dentifrici al fluoro.

L’articolo aiuta a far luce sui processi di avvelenamento intenzionale ai quali siamo incredibilmente sottoposti spesso con il nostro involontario aiuto. Dobbiamo infatti scegliere con cura i nostri alimenti non facendoci mai soggiogare dalla raffinata propaganda pubblicitaria, prediligendo prodotti freschi e naturali agli artefatti sottoprodotti industriali: vedo ancora nei supermercati mamme premurose ma disattente comperare prodotti con aspartame oppure con il glutammato di sodio per i loro figli! (nel post ho inserito alcuni tagli per facilitarne la lettura)
Il fluoro, la storia

La "favola del fluoro buono" ha inizio nel 1931 quando un certo Dean, dentista americano, fu mandato dal governo in una regione del Texas, caratterizzata da acque molto ricche di fluoro, per studiare un fenomeno che colpiva gli abitanti di quella regione: denti scuri e macchiati. Dean descrisse con dovizia di particolari i denti dei texani ed attribuì le macchie ed i denti scuri ad una intossicazione da fluoro e chiamò fluorosi questa malattia. Egli allegò alla sua comunicazione una nota speciale in cui precisava che i denti fluorotici, anche se brutti, fossero più resistenti alla carie od almeno così gli sembrava.

Il suo lavoro venne ripreso nel 1939 dal biochimico Gerard J. Cox che somministrò fluoruri a topi di laboratorio descrivendone la maggior resistenza alla carie, in presenza di una dieta molto ricca in zuccheri. Il suo lavoro si concluse con la sorprendente raccomandazione di interrompere la bonifica del fluoro nelle acque potabili ed anzi di arricchirne le stesse. Questa frase fa intuire come fino ad allora il fluoro fosse considerato tutt'altro che buono ed anzi, in quegli anni, fosse conosciuto essenzialmente come veleno per topi e come rifiuto tossico industriale (delle lavorazioni dell’alluminio in particolare).

L'inquinamento ambientale di acque e terreni da fluoro aveva già determinato diverse contestazioni e vertenze legali fra gli abitanti e le aziende manifatturiere; del resto, lo smaltimento del fluoro negli USA era già stato indicato come obbligatorio. Nel 1939, all'epoca del dr. Gerard J. Cox, lo smaltimento dei rifiuti di lavorazione dell'alluminio contenenti fluoro, costava 36 centesimi di dollaro al chilogrammo; la quantità dei rifiuti smaltiti annualmente era di circa 150.000 tonnellate: una spesa, nel 1939, di ben 54 milioni di dollari annui!

Il fluoro era però indispensabile all'industria dell'alluminio, e l'alluminio, era indispensabile nella industria aeronautica specialmente in tempo di guerra; la Alcoaera allora la maggior produttrice di alluminio. Proprietaria della Alcoa era la famiglia Mellon, proprietaria anche dell'istituto di ricerche Mellon che annoverava fra i sui dipendenti proprio il biochimico Gerard J Cox! Nel 1944, il Journal of American Dental Association, pubblicò un articolo in cui a carico del fluoro si ravvisava il rischio che lo stesso inducesse osteoporosi, problemi alla tiroide ed alterazioni della colonna vertebrale, mentre se ne contestava l'efficacia nel ridurre le carie.
Nonostante la forte opposizione di una parte del mondo scientifico, la politica cominciò a pensare, sfruttando l’entusiasmo popolare, ad aggiungere fluoro alle acque potabili. Nel 1945 ci si decise a fare uno studio serio che dimostrasse l'azione benefica del fluoro verificandone nel contempo la tossicità; si prese un'intera cittadina, Grand Rapids nel Michigan, alle cui acque fu aggiunto il fluoro mentre alla vicina e simile città di Muskegon, no. L'esperimento doveva durare ragionevolmente 15 anni ma gli abitanti di Muskegon, nel 1947, ottennero con la forza che anche le loro acque venissero sottoposte a fluorizzazione vanificando così la sperimentazione. Nel 1950 capo del Public Healt Service divenne l'avvocato Ewing, da sempre avvocato di famiglia dei soliti Mellon, convinto assertore della florurazione delle acque; talmente convinto che assunse, per persuadere anche gli scettici, il mago del marketing, Edward Berneys, nipotino tremendo di Sigmund Freud. Rapidamente il fluoro divenne buono. Nel giro di pochi anni, gran parte del territorio nordamericano e canadese fu servito da acque arricchite da fluoro e ciò senza che fosse stato fatto un solo studio serio sull'efficacia preventiva del fluoro e soprattutto sulla sua potenziale tossicità. Tutto ciò fu fatto sotto la spinta emotiva entusiastica dei cittadini e con l'aiuto, magari interessato, della grande industria e del dipartimento di stato.

Nell'America socialista degli anni 40, la fluorazione delle acque venne accolta con entusiasmo come primo caso di nobilissima medicina preventiva. Fu in questa ottica che gli abitanti di Muskegon, ingiustamente privati del fluoro, condannati ad ulteriori quindici anni di dolorose carie ai denti, si ribellarono all'esperimento di Grand Rapids e pretesero addirittura, con clamorose azioni di piazza, anche loro il fluoro buono da bere. (…)

In Italia, il primo a parlare di fluoro alla comunità scientifica fu il dottor Paolo Trivieri, medico condotto di Anguillara comune dell'alto Lazio, ai tempi di tremila abitanti; il paese, posto in zona di origine vulcanica, era servito da una fonte in cui il fluoro viaggiava su elevate concentrazioni (3-5 mg/litro). Il dr. Trivieri descrive nel 1940, con alle spalle una trentennale puntuale ed eroica osservazione, i denti degli anguillaresi, anneriti, pieni di malformazioni dello smalto. Descrive la stessa fluorosi nei suoi vari gradi che aveva descritto il dr. Dean ma il Dott. Trivieri conclude nelle sue osservazioni odontoiatriche dichiarando che questi denti fluorotici, oltre che brutti, a causa della loro superficie discontinua ed irregolare, siano più (non meno: più) suscettibili alla carie. Descrive, inoltre la fluorosi delle ossa, con osservazioni cliniche e dirette su cadaveri. Descrive le deformità, le fratture, la elevata fragilità di queste stesse ossa; un quadro clinico conosciuto oggi come osteoporosi. Indica una correlazione certa fra tutto ciò ed il fluoro ed anzi descrive: ”qui la tubercolosi non manca davvero (di quegli anni addirittura l'ipotesi di curare la tbc col fluoro!), così come l'ulcera ed il cancro”. Malattie, queste ultime difficilmente riferibili tanto al fluoro quanto all'arsenico di cui erano parimenti ricche le acque di Anguillara, ma questo il magnifico Dottor. Trivieri non poteva saperlo.

I primi studi sperimentali italiani sull'efficacia del fluoro come mezzo profilattico risalgono ai primi anni 50 e furono avviati da Silvio Palazzi direttore della Clinica Odontoiatrica di Pavia e da Alessandro Seppilli, direttore dell'Istituto di Igiene dell'Università di Perugia. Tale sperimentazione, consistette nella preparazione di una pasta dentifricia, in cui si incorporava del fluoruro di sodio in varie concentrazioni. Con tale composto, vennero trattati denti recentemente estratti: si osservava che la dentina e lo smalto di questi, presentavano modificazioni morfologiche interpretate come rimineralizzazione delle stesse. Se da una parte, anche in questo caso, mancò del tutto una analisi sulla reale efficacia clinica (quello che si chiama studio longitudinale) ed uno studio sulla tossicità del fluoro, va detto che nello storico e combattuto Simposio (furono molti ed agguerriti gli oppositori) del fluoro tenutosi a Roma il 30 e 31 Marzo 1953 si concluse circa l'efficacia delle paste fluorurate, mentre nulla si disse circa la somministrazione sistemica (per bocca) di sostanze fluorurate ed ancor meno si concluse qualcosa circa la fluorizzazione delle acque.

Sono due le ragioni ritenute probabili per questo silenzio; la prima è che la quantità di fluoro presente nelle acque erogate dalla rete idrica italiana, sia pur con molte differenze, è già di per se elevata (in media 1 mg/litro). La seconda, inquietante, è che la rete idrica italiana costituita in gran parte di tubi in ferro zincato, con un indice di dispersione superiore al 40%, non avrebbe retto all'azione aggressiva del fluoro.

Dott. M. Pedone - Caronno pertusella (VA)


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